06 Feb Taranto, il mito Iacovone e la necessità di andare finalmente oltre
Quarantasette anni non bastano a lenire il dolore. Quasi mezzo secolo divide la città dalla morte di Erasmo Iacovone eppure il legame, romanticamente morboso tra il centravanti di Capracotta e la città dei due mari, persiste immutato. Travalica le generazioni, consentendo ai nonni, ma ormai anche ai padri di trasmettere osmoticamente ai figli che non lo hanno mai visto, quel sentimento che è commistione tra amore e rammarico, un perenne esercizio di equilibrio tra devozione pura ed egoistico rimpianto.
Quarantasette gli anniversari trascorsi da quel tragico schianto che lega per sempre Erasmo alla nostra terra, rendendo però ormai entrambi vicendevolmente schiavi dei rispettivi limiti, che l’amore in quanto tale non dovrebbe mai conoscere.
Il tempo del ricordo resta immobile, e così dev’essere, il problema risiede nel presente, nel non essere mai riusciti ad elaborare il lutto, nel non essere capaci di andare oltre, di staccarsi terrenamente dalla figura di Erasmo Iacovone, che etereamente da vero Dio, sull’Olimpo dovrebbe risiedere e che invece continua ad assumere le fattezze troppo umane dell’ultimo momento di spensieratezza sportiva e sociale di una città alla deriva.
Iacovone è, o meglio dovrebbe essere il mito, l’effigie, il simbolo, la divinità, la chiassosa contemplazione domenicale dell’aulico pallonaro. Invece per colpe ascrivibili esclusivamente a noi figli di Taranto, resta un stencil su un altissimo muro, talvolta addirittura un appiglio negligente offerto a chi non vuole che Taranto possa guardare ad un futuro necessario. Serve che quel sacrificio, non sia solo adorazione di ciò che è stato e di ciò che sarebbe potuto accadere. Urge una doccia gelata, una sberla, una sveglia, tardiva sì, ma ormai non più procrastinabile.
Il passato è presente e sempre lo sarà con tutti i suoi aspetti, ma oggi più che mai a Taranto serve un orizzonte nuovo, una nuova consapevolezza che consenta finalmente a quel che resta della piazza, di invertire la rotta disastrosa tracciata nell’ultimo trentennio.
Ciao Erasmo.